I needed to stop being what everyone thought I was.

Il mio rapporto con la scrittura è sempre stato complicato. Non sono mai stato molto bravo con i fatti, a trasportare nel mondo reale ciò che provavo, considerando i miei sentimenti come concetti a priori che avrebbero scatenato il panico una volta attraversato il Velo. Nella mia testa tutto è continuamente plausibile e in potenza, come in un sogno, quando non ti fermi a pensare perché tu stia lanciando dei dadi sospeso su di una foglia autunnale, lo fai e basta, aspettando il verdetto.

Mi sono sempre ritenuto più capace a trasformare in parole quello che provo. C’è chi dice che sia terapeutico, che l’elaborazione non possa nuocere, ma in realtà ne ho sempre avuto un po’ il timore. I ricordi, i sentimenti e le angosce prendono vita nelle nostre menti, intrappolati tra il passato e il futuro, ma il presente danza come un artista impazzito circondato da tele, vorticando con i pennelli in mano e aggiungendo sfumature di colori a seconda del tempo, o spirali vorticose quando il nostro cuore accelera o manca un battito. Scrivere definisce tutto, arresta il momento, crea un punto fisso dal quale non possiamo sottrarci, e io e le definizioni non siamo mai andati d’accordo.

Molto è cambiato, eppure ho procrastinato, atteso che il vento dell’Ovest portasse la pioggia, che l’autunno strappasse via i colori dell’estate, chiudendo il sipario e attendendo che lo spettacolo finisse, per riaprirlo sul palco spoglio, pronto per rivestire un altro ruolo. “Tutti nascondono la loro vera natura”; non ricordo quando ho iniziato a condividerne il significato, a pensare che fosse legittimo. Che mondo sarebbe se sanguinassimo rimpianti sul marciapiede, piangessimo sotto gli alberi, baciassimo gli sconosciuti spinti dal desiderio, esponessimo ogni singolo frammento della nostra personalità? Copriti con un mantello, indossa le tue maschere, ogni persona richiederà che tu ricopra un ruolo. Continueranno a definirti, fino a quando i frammenti non saranno sempre più sottili. “Le persone vanno e vengono, e spesso ci sentiamo come tele esposte, bianche, che anelano la pennellata fugace di qualche distratto passante, per poi attendere che il colore ingiallisca, dimentico del nome dell’artista di passaggio.” Questo è quello che pensavo alla nascita di questo blog, e parte di me lo pensa ancora.

Ma prova a trovare l’eccezione, chi anche solo per un attimo veda oltre le maschere. Vorrai tenerle comunque con te; non fa male sognare ma, quando non lo si fa da soli, c’è sempre qualcuno che si sveglia prima di un altro. Ma non crogiolarti nel voler mutare un rimpianto in ricordo, palmo a palmo, pelle contro pelle, calore di un corpo che discioglie il gelo. Forse è il destino di molti, alla fine diventeremo obsoleti, fatti di carne e rimpianti.

Odio le definizioni per la mia incapacità di fornirne di univoche. E così ti ho chiamato “casa”, “amico”, “ritorno”.

Odio le mie maschere e la velocità della gente nell’abituarsi ad esse. Eppure non sono sicuro di chi sarei adesso se non avessi mai mandato in frantumi lo specchio. Avrei saputo impersonare la “forza”, il “distacco”, il “perdono”?

Trova le eccezioni, chi riesca ad avvicinarsi ai frammenti senza paura di tagliarsi. Non serviranno definizioni, né maschere.

Il temporale continua con il suo richiamo. Il vento dell’Ovest reclama ancora un cambiamento, una fuga. Ma ormai è tutto nero su bianco. Per questa notte sarò io, fragile, spogliato dalle parole. Tornerò a indossare le maschere, ma forse non lo farò per me stesso. Grazie.

If every life is a river, then it’s little wonder that we do not even notice the changes that occur until we are far out in the darkest sea. One day you look around and nothing is familiar, not even your own face.
My name once meant daughter, grandaughter, friend, sister, beloved. Now those words mean only what their letters spell out; Star in the night sky. Truth in the darkness.
I have crossed over to a place where I never thought I’d be. I am someone I would have never imagined. A secret. A dream. I am this, body and soul. Burn me. Drown me. Tell me lies. I will still be who I am.”

Posted on 21 ottobre '13 by , under Frammenti. No Comments.

La Tenerina e le meditazioni al Cioccolato

Ingredienti:

– 3 uova

– 90 g di burro

– 150 g di zucchero

– 200 g di cioccolato fondente

– due cucchiai di farina tipo 00

– due cucchiai di fecola di patate

– zucchero a velo

La cucina mi ha sempre affascinato, il focolare domestico attorno al quale l’intera casa prendeva vita, il cuore pulsante dove le nostre antenate intrecciavano conoscenza e tradizioni. Ogni gesto rimanda ad un tempo lontano, ogni odore risveglia immagini e sensazioni antiche, condivise da tutti.

Preriscaldare il forno ventilato a 180 gradi. Far sciogliere il cioccolato fondente a bagnomaria, aggiungere il burro solamente quando inizierà ad ammorbidirsi. Mescolare di tanto in tanto con un cucchiaio di legno.

Accendo una candela sul davanzale della finestra, un invito per le anime dei miei cari ad unirsi a me. Spezzetto il cioccolato, lascio che le sue scaglie mi colorino la pelle, che il suo odore forte e deciso rischiari la mia mente. Presto diventerà una crema liscia e lucente, adattando la sua forma, trasformandosi con semplici e rapidi gesti. Mescolo in senso orario, lasciando che il cucchiaio disegni una spirale che dai bordi arriva al centro del pentolino. Riflessi, piccole scintille di luce danzano sulla superficie, per poi sparire nel vortice. La mente si riempie di immagini, una danza attorno al fuoco, la crema liscia usata come specchio per intravedere ciò che ci attende. Come nelle antiche tribù azteche, la mia mente si getta nella spirale, danzando e seguendo il ritmo del mio battito.

Spegnere il fuoco e lasciare la crema ad intiepidire. Predisporre due contenitori. Separare i tuorli dagli albumi. Con le fruste elettriche, montare a neve fermissima le chiare, aggiungendo prima un cucchiaio di zucchero a velo. Dopo aver lavato le fruste, montare i tuorli con lo zucchero, fino ad ottenere una crema liscia e ben ferma. Aggiungere ai tuorli così montati la crema al cioccolato fatta intiepidire, incorporandola con un cucchiaio di legno, mescolando dall’alto verso il basso per non smontare la crema.

Verso la crema nell’impasto di uova. Una striscia scura si mescola al composto chiaro, e man mano che procedo le striature si intrecciano, i pensieri si mescolano e si fondono, mentre i gesti ripetuti cullano le nostre menti verso uno stato più profondo. Un bosco sul limitare di una foresta, il vento gelido ulula e alita contro la finestra come in questo istante.

Ottenuto un impasto omogeneo, setacciare le due farine e unirle al composto di cioccolato e uova, mescolando sempre dall’alto verso il basso. Ottenuta una crema liscia e senza grumi, incorporare le chiare, facendo sempre attenzione a non smontarle. Foderata una teglia con carta da forno, versarvi all’interno l’impasto, livellandone la superficie con una spatola. Infornare per circa 20 minuti (effettuare la prova dello stuzzicadenti per verificarne la cottura).

Il forno rapidamente riempie la cucina dell’aroma del cioccolato. Attendo, riordinando utensili e pensieri. Le finestre si appannano, l’aria diventa quasi palpabile, ogni odore si smarrisce e viene rapito.

Terminata la cottura, estrarre dal forno e trasferire la torta su un piatto. Cospargere la superficie di abbondante zucchero e velo e lasciar raffreddare.

Spengo la candela, apro la finestra e lascio che l’aria calda e piena di profumi si getti all’esterno, un messaggio dolce, un richiamo perso nel vento. Penso a chi raggiungerà. Chiudo la finestra. Tutto è al tempo stesso uguale e mutato, come nella spirale dell’impasto. E’ bastato un po’ di cioccolato.

Posted on 17 gennaio '13 by , under Ricette: briciole e pensieri. No Comments.

Florence And The Machine – Ceremonials

Se non conoscete i Florence and The Machine non è mai troppo tardi per rimediare. Si perchè appena sentirete cantare quella che è l’anima del gruppo, la cantante Florence Welch, ve ne innamorerete all’istante. Poche voci sanno essere così estese e potenti mantenendo raffinatezza e pulizia vocale, oltre a una notevole dose di intensità.

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Oltre a Florence fanno parte della band anche Isabella Summers alias Isa Machine, Robert Ackroyd (chitarra), Christopher Lloyd Hayden (batteria), Mark Saunders (basso) e Tom Monger (arpa), tutti inglesi. Florence è infatti nata e cresciuta a Londra, ha studiato arte al college, per poi dedicarsi solo al canto. E a proposito di arte, quando ce l’avete davanti sembra proprio uscita da un quadro preraffaelita, con i capelli rosso fuoco, la pelle di un bianco marmoreo, la voce che quando ti parla sembra un sussurro, la figura longilinea e aggraziata, quasi appartenesse a un’altra dimensione. Non fatevi ingannare da tutto ciò, perchè la Florence on stage è in grado di spostare mari e monti e far tremare scenografie. Lo sa bene chi ha avuto la fortuna di assistere a un suo concerto dal vivo, dove Florence tira fuori la menade che è in lei, balla e saltella rigorosamente a piedi nudi da un’estremità all’altra del palco, continuando a cantare con la stessa potenza anche a un’ora dall’inizio, salendo e scendendo con la voce, come se fosse la cosa più naturale del mondo, con una grazia fuori dal comune. Questa 26enne non è umana, è nata nell’epoca e sul pianeta sbagliati, per nostra fortuna.
E la fortuna dei Florence and The Machine l’ha fatta il loro primo album, Lungs, uscito nel 2009 e subito schizzato in vetta alle classifiche inglesi, dando visibilità al gruppo. Un album “indie” come lo definisce la stessa Florence, ben fatto, ma se volete questo non basta alle vostre orecchie, ascoltate Ceremonials, uscito il 31 ottobre 2011, ad Halloween, perchè la Florence è un’anima inquieta, intrinsecamente macabra e contorta (parole sue, eh).
E l’ inquietudine è il filo rosso dei testi di Ceremonials, assieme a temi come luce, buio, amore,  morte e incomunicabilità.
Di seguito la tracklist:

1. Only If For The Night
2. Shake It Out
3. What The Water Gave Me
4. Never Let Me Go
5. Breaking Down
6. Lover To Lover
7. Seven Devils
8. Heartlines
9. Leave My Body
10. Spectrum
11. All This And Heaven Too

Lasciatevi incantare  dagli arrangiamenti curatissimi, tra tastiere, chitarre, un’arpa sublime e percussioni incalzanti, quasi come in un’epica battaglia, oltre che dalla voce soprannaturale di Florence. Il sound è più barocco rispetto all’album precedente, ma per nulla pesante, anzi ogni strumento è funzionale alla creazione dell’atmosfera giusta per ogni pezzo.
Come potete notare già i titoli dicono tutto, Seven devils, Shake it out, i loro testi parlano dei demoni interiori che ci stanno sempre alle costole e di cui vorremmo liberarci (e chi non ne ha?).
La pace è qualcosa di sconosciuto, anche se una piccola speranza rimane sul fondo di questo vaso di Pandora, ed è quel “it’s always darkest before the dawn” in Shake it out, che ci ricorda come, la notte è sempre più oscura prima che arrivi l’alba. E’ musica quasi terapeutica, che ognuno di noi può sentire vicina, e che può abbracciare per sentirsi meglio, in una sorta di esorcismo musicale.
E di morte si parla in questo album (i funerali sono una fonte di ispirazione per la Welch, ha detto) già nella canzone che apre la tracklist, Only it for a night, dedicata alla nonna deceduta da poco, che in sogno viene a far visita a Florence, lasciandole non messaggi criptici ma solo un consiglio: dovresti concentrarti.
Ma non c’è solo il buio in questo album, abbiamo anche canzoni incalzanti e tambureggianti (Florence vorrebbe fare la batterista, se non fosse cantante) come Heartlines, Lover to lover, All this and heaven too, che cercano di aprire verso la luce. Discorso a parte per Spectrum, all’apparenza oscura, ma dal testo positivo, dove i colori sulla pelle si fanno luce, di quelle che scacciano i fantasmi e la paura. A mio parere il video di Spectrum si aggiudica il premio come miglior video dell’anno, diretto da personaggi del calibro di David LaChapelle e John Byrne. In più la canzone è stata nominata ai Brit Award come best single of the year. Teniamo le dita incrociate!

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Se volete ascoltare qualcosa di più recente, buttatevi su Breath of life (colonna sonora di Snowhite and the huntsman, alias Biancaneve e il cacciatore) e Sweet nothing, quest’ultima di Calvin Harris feat Florence Welch. Due pezzi che non vi deluderanno.
Che dire di più, direi di avervi annoiato anche troppo, non vi resta che ascoltarvi questo meraviglioso album e appassionarvi ai Florence and The Machine. Lo potete trovare ovunque, da acquistare su iTunes e Amazon, oppure in streaming su siti come Deezer. Buon ascolto e alla prossima!

Posted on 17 gennaio '13 by , under Note in libertà. No Comments.

Once upon a time…

C’era una volta un blog senza troppe pretese, se non quella di condividere gli sfoghi di due amici, due autori e personaggi costantemente intrappolati nelle fitte trame delle loro narrazioni. C’era la voglia di creare e nutrire un progetto da tempo sognato, ma che non erano mai riusciti a concretizzare come volevano, rapiti costantemente dai tranelli che Ananke poneva sul loro cammino. A distanza di un anno dall’ultimo post, per quanto le nostre strade a tratti si siano divise, abbiamo fatto ritorno qui, nostalgici e con la voglia di ricominciare. La terra ha tremato, molto è stato guadagnato e perso, ma l’amicizia che condividiamo, le nostre idee, passioni, sono state ancore contro la marea improvvisa, che tutto travolge, cancellando i sogni fugaci disegnati sulla sabbia.

Tornare a mettere le mani su questo progetto, farlo crescere, è la nostra sfida , la nostra forma di ribellione contro tutto quello che incontriamo nel nostro cammino.

C’era una volta un ragazzo. Non era un principe, non era conosciuto per il suo buon cuore o i suoi alti valori.

C’era una volta una ragazza. Non era una principessa, né la purezza del suo cuore incantava unicorni e ogni forma di vita, e per principio non si sarebbe fatta salvare da nessun principe.

Questa non è una favola dal lieto fine assicurato, ma in ogni storia si compie un viaggio. Questa è la nostra storia, a singhiozzi, schizofrenica, altalenante, bipolare e priva di morale. Forse insieme ne capiremo il significato.

Posted on 16 gennaio '13 by , under Frammenti. No Comments.

Dentro a ogni notte c’è un personaggio e un autore. Parte 1

Ci riunivamo in quel teatro di notte, quando il resto della città dormiva. Smessi i panni di insegnante d’inglese, di studente universitario, di avvocato, ne vestivamo di altri, più comodi, lasciavamo che i nostri demoni uscissero allo scoperto come per la notte di Halloween, come nelle feste dionisiache e come nel Carnevale.

Non si trattava di maschere, ma di un entrare in contatto con ciò che di giorno tenevamo nascosto, chi per paura, chi per comodità, chi perchè è così e basta.

Potevamo scegliere di essere qualsiasi personaggio, in quel luogo sospeso tra spazio e tempo.

La notte implorava di essere vissuta, la luna chiedeva di restare. Quella notte, il mio osservare in silenzio fu interrotto da Carmen che aveva iniziato a suonare una sorta di arpeggio avvolgente. Le sue dita accarezzavano dolcemente le corde producendo qualcosa di raffinato da quell’insieme di legno e nylon. Marina rideva e danzava felice come una bambina, senza curarsi della musica. Davide vestiva i panni di una moderna Lady Macbeth.

Incontrandoci alla luce del giorno, avresti potuto pensare che fossimo persone comuni, convenzionali, che si alzano presto per andare chi al lavoro chi in facoltà. Tuttavia di notte in teatro, amavamo slegarci da quella corda troppo stretta che è la quotidianità, o che forse più semplicemente siamo noi stessi.

Uscire da se stessi apre un milione di strade, sta a noi scegliere.

Posted on 25 dicembre '11 by , under Frammenti. No Comments.

For every devil under the sun.

Quando ero piccolo mia nonna mi insegnava a confezionare sacchettini con rosmarino e malachiti, per tenere i temporali lontani dalla casa; latte e miele aiutavano la concentrazione e alleviavano i piccoli malanni di stagione; la buccia di una mela gettata a galleggiare nell’acqua sotto i raggi del plenilunio avrebbe mostrato le iniziali della persona a noi destinata; un ragno prima della mezzanotte portava guadagno, il canto insistente dei grilli dopo la mezzanotte scandiva l’orologio della vita, rintocchi che portavano via una persona cara.

Ma non conosco nessun rimedio per tenere lontano il tuo ricordo. Ho provato con il sale, a cospargere porte e finestre della mia mente con olio di menta piperita, per scacciare i ricordi indesiderati come fossero venditori ambulanti di sogni infranti. Sulla riva del fiume le nostre anime vanno a caccia dell’unico sasso bucato, da gettare nella corrente per liberarsi da ciò che le tormenta. Le nostre mani scavano nel passato sulla riva del fiume incessante del tempo, che tutto travolge, senza attendere che la persona sia realmente pronta.

Mi hai portato tu fin qui, oscurando la mia vista in uno strano gioco di malizia e fiducia. Ma ora tendo la mano fredda verso il buio, al centro di una radura in pieno inverno, dove gli alberi sembrano sospirare cantando canzoni in una lingua che non conosco, ma che ricorda tutto del nostro viaggio.

Come tornerò indietro? Raccolgo una foglia; il vento è propizio, quello dell’ovest. Apro le dita, e lascio che la corrente la trasporti. Troverà la via di casa.

For every evil under the sun,
There is a remedy, or there is none;
If there be one, try and find it,
If there be none, never mind it.

Posted on 11 dicembre '11 by , under Frammenti. No Comments.

Malfunzionamenti che ti accorgi di avere.

Dell’essere bambini si dice in giro che dovremmo conservare una cosa: la meraviglia.

Cosa ho conservato io? Lo stesso atteggiamento che porta un bambino a desiderare ardentemente un giocattolo, il quale dopo poco tempo finisce per essere buttato nella cesta insieme a tutti gli altri. Ecco, io sono una che si stufa. Posso innamorarmi a prima vista di oggetti animati e inanimati, e dopo averli consumati inizio ad annoiarmi e allontanarmi. Il problema è che è un malfunzionamento intrinseco, non nasce da voglia di fare del male o cosa. Semplicemente accade.

Quando un bambino cresce ricorda con piacere i propri giocattoli, non li ha dimenticati. Da adulto potremmo beccarlo a desiderare di giocarci ancora.

Per quanto mi possa stufare, nemmeno io mi dimentico delle fissazioni, e posso dire che riscoprirle a distanza di tempo non è affatto male.

Posted on 9 dicembre '11 by , under Frammenti. No Comments.

Show me the river

Mi sveglio ogni giorno accanto al mio corpo freddo, avvolto dalla nebbia densa dei “se”. Ti hanno rubato l’ombra, lo sapevi? Vaga per la terra desolata, in attesa del ritorno. Versa le libagioni, attendi l’attimo in cui udirai la voce dall’altra parte del Velo. La voragine si nutre di sogni, scappa per il labirinto dell’essere, lancia una moneta ad ogni bivio, non importa. Ti raggiungerà come la marea di sospiri che hai lasciato sulle lenzuola, ora fredde e distanti.

I grilli in lontananza scandiscono il tempo, Parche invisibili che bisbigliano al tuo orecchio. Presto, l’ultimo inganno; stenditi, metti i piedi al posto della testa, la Morte passerà oltre, non ti riconoscerà.

E continuerai a vagare, senza meta, solo per protrarre il tuo viaggio.

Ti hanno rubato l’ombra, lo sapevi? L’ho inchiodata alla parete, insieme alle immagini dei tuoi “se”.

“I’ve been a traveler of far away lands

I’ve got love on my mind. but death on these hands

come homeward angel, show me the way

or will fate leave me dead in the tracks where I lay”

(Show me the river, Eastmountainsouth)


Posted on 18 novembre '11 by , under Frammenti. No Comments.

Leave my body. Or stay.

Sigillati nei nostri corpi che ci appaiono ora terra senza confini, ora macchia sporca e scomoda. Di sera, di fronte a un bicchiere riempito di rosso, i demoni vengono a farci visita e a giocare a palla con i sensi di colpa, come vecchi amici. E il corpo diventa carne da dare in pasto ai miei demoni. Le loro braccia mi trasportano in angoli che non conosco (sono ancora dentro al mio corpo?).

E avevamo freddo ed eravamo chiari, senza colori sulla pelle. Eravamo leggeri e sottili come la carta, e tuttavia lo sai che la carta è tagliente come la lama di un bisturi. Siamo come alberi le cui foglie hanno scelto il suicidio d’autunno. E i rami rimangono nudi, come statue di marmo greco che non sentono il tempo.

Sono nata sotto una nuvola grigia,  sarai abbastanza forte per rimanere ad affrontare il temporale o fuggirai?

 

Posted on 12 novembre '11 by , under Frammenti. 2 Comments.

I heard a Fly buzz when I died

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Sentii una Mosca ronzare – mentre morivo –
Il Silenzio nella Stanza
Era come il Silenzio nell’Aria –
Tra Folate di Tempesta –

Gli Occhi intorno – si erano disseccati –
E i Respiri si accumulavano tenaci
Per quell’ultimo Assalto – quando la Regina
Si palesò – nella Stanza –

Feci testamento dei miei Ricordi – Elencai
Quelle parti di me che fossero
Assegnabili – e fu in quel momento
Che si interpose la Mosca –

Con un Azzurro – incerto – zoppicante Ronzio –
Fra la luce – e me –
E allora le Finestre vennero meno – e allora
Non vidi di non poter vedere –

(E. Dickinson 1863)

La mosca, l’insetto che accompagna la nostra quotidianità senza essere ormai più notata, diventa l’ultima sensazione concreta; il suo ronzio è incerto – come le nostre convinzioni sull’immortalità -, zoppicante – come il nostro viaggio verso l’ignoto. E la mosca diventa improvvisamente grande, non più un minuscolo insetto, ma l’ultimo sipario che si chiude.

Avere certezze sembra essere una vera e propria ossessione. Nascono con noi, ci confortano istintivamente ancora prima di comprenderle, e crescono diventando sempre più grandi, irraggiungibili, pretenziose, portandoci spesso a dimenticare ciò che è nostro per diritto di nascita. Si sostituiscono alle nostre priorità, spesso per colpa degli altri, della loro influenza, e quando crollano ci lasciano nudi, senza più un piano d’appoggio per quell’anima che abbiamo smesso di conoscere.

“Non avessi mai visto il sole avrei sopportato l’ombra

ma la luce ha aggiunto al mio deserto una desolazione inaudita.”

Amore, famiglia, salute, amicizie, studio, tutto aggiunge aspettative, reclama certezze; equilibristi sospesi nel vuoto ignari che la rete sia in realtà solo nelle nostre teste, abbandonati nella nostra quotidianità, con l’adrenalina che ad ogni cambiamento, ad ogni anche impercettibile movimento del filo, ci prepara alla lotta o alla fuga, a riempire il vuoto per compensarci, come un corpo che lotta per ritrovare equilibrio dopo l’asportazione di un organo, oppure a crogiolarci nella resa. E’ un meccanismo semplice, reso complicato dalle nostre conquiste, dai pensieri, dalla morale, dalle scelte, da tutto ciò che ci porta ad uno scalino più in alto nella scala evolutiva.

“Baby ballerina’s hiding somewhere in the corner,
where the shadow wraps around her
and our torches cannot find her,
she will stay there ‘til the morning,
crawl behind us as we are yawning,
and she will leave our games to never be the same.”

(Sugarcane, Missy Higgins)

Avete perso? Avete detto addio? Avete amato, ne siete stati certi? Abbiamo paura. Ecco il crollo, l’ignoto, l’adrenalina.

“So run, run fast Sugar Cane.
yeah you’d better run, run fast Sugar Cane.
And she said, “always, be afraid”.
Yeah you should, “always, be afraid”.

Combatti o fuggi?

Posted on 12 novembre '11 by , under Frammenti. No Comments.

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