Archive for novembre, 2011

Show me the river

Mi sveglio ogni giorno accanto al mio corpo freddo, avvolto dalla nebbia densa dei “se”. Ti hanno rubato l’ombra, lo sapevi? Vaga per la terra desolata, in attesa del ritorno. Versa le libagioni, attendi l’attimo in cui udirai la voce dall’altra parte del Velo. La voragine si nutre di sogni, scappa per il labirinto dell’essere, lancia una moneta ad ogni bivio, non importa. Ti raggiungerà come la marea di sospiri che hai lasciato sulle lenzuola, ora fredde e distanti.

I grilli in lontananza scandiscono il tempo, Parche invisibili che bisbigliano al tuo orecchio. Presto, l’ultimo inganno; stenditi, metti i piedi al posto della testa, la Morte passerà oltre, non ti riconoscerà.

E continuerai a vagare, senza meta, solo per protrarre il tuo viaggio.

Ti hanno rubato l’ombra, lo sapevi? L’ho inchiodata alla parete, insieme alle immagini dei tuoi “se”.

“I’ve been a traveler of far away lands

I’ve got love on my mind. but death on these hands

come homeward angel, show me the way

or will fate leave me dead in the tracks where I lay”

(Show me the river, Eastmountainsouth)


Posted on 18 novembre '11 by , under Frammenti. No Comments.

Leave my body. Or stay.

Sigillati nei nostri corpi che ci appaiono ora terra senza confini, ora macchia sporca e scomoda. Di sera, di fronte a un bicchiere riempito di rosso, i demoni vengono a farci visita e a giocare a palla con i sensi di colpa, come vecchi amici. E il corpo diventa carne da dare in pasto ai miei demoni. Le loro braccia mi trasportano in angoli che non conosco (sono ancora dentro al mio corpo?).

E avevamo freddo ed eravamo chiari, senza colori sulla pelle. Eravamo leggeri e sottili come la carta, e tuttavia lo sai che la carta è tagliente come la lama di un bisturi. Siamo come alberi le cui foglie hanno scelto il suicidio d’autunno. E i rami rimangono nudi, come statue di marmo greco che non sentono il tempo.

Sono nata sotto una nuvola grigia,  sarai abbastanza forte per rimanere ad affrontare il temporale o fuggirai?

 

Posted on 12 novembre '11 by , under Frammenti. 2 Comments.

I heard a Fly buzz when I died

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Sentii una Mosca ronzare – mentre morivo –
Il Silenzio nella Stanza
Era come il Silenzio nell’Aria –
Tra Folate di Tempesta –

Gli Occhi intorno – si erano disseccati –
E i Respiri si accumulavano tenaci
Per quell’ultimo Assalto – quando la Regina
Si palesò – nella Stanza –

Feci testamento dei miei Ricordi – Elencai
Quelle parti di me che fossero
Assegnabili – e fu in quel momento
Che si interpose la Mosca –

Con un Azzurro – incerto – zoppicante Ronzio –
Fra la luce – e me –
E allora le Finestre vennero meno – e allora
Non vidi di non poter vedere –

(E. Dickinson 1863)

La mosca, l’insetto che accompagna la nostra quotidianità senza essere ormai più notata, diventa l’ultima sensazione concreta; il suo ronzio è incerto – come le nostre convinzioni sull’immortalità -, zoppicante – come il nostro viaggio verso l’ignoto. E la mosca diventa improvvisamente grande, non più un minuscolo insetto, ma l’ultimo sipario che si chiude.

Avere certezze sembra essere una vera e propria ossessione. Nascono con noi, ci confortano istintivamente ancora prima di comprenderle, e crescono diventando sempre più grandi, irraggiungibili, pretenziose, portandoci spesso a dimenticare ciò che è nostro per diritto di nascita. Si sostituiscono alle nostre priorità, spesso per colpa degli altri, della loro influenza, e quando crollano ci lasciano nudi, senza più un piano d’appoggio per quell’anima che abbiamo smesso di conoscere.

“Non avessi mai visto il sole avrei sopportato l’ombra

ma la luce ha aggiunto al mio deserto una desolazione inaudita.”

Amore, famiglia, salute, amicizie, studio, tutto aggiunge aspettative, reclama certezze; equilibristi sospesi nel vuoto ignari che la rete sia in realtà solo nelle nostre teste, abbandonati nella nostra quotidianità, con l’adrenalina che ad ogni cambiamento, ad ogni anche impercettibile movimento del filo, ci prepara alla lotta o alla fuga, a riempire il vuoto per compensarci, come un corpo che lotta per ritrovare equilibrio dopo l’asportazione di un organo, oppure a crogiolarci nella resa. E’ un meccanismo semplice, reso complicato dalle nostre conquiste, dai pensieri, dalla morale, dalle scelte, da tutto ciò che ci porta ad uno scalino più in alto nella scala evolutiva.

“Baby ballerina’s hiding somewhere in the corner,
where the shadow wraps around her
and our torches cannot find her,
she will stay there ‘til the morning,
crawl behind us as we are yawning,
and she will leave our games to never be the same.”

(Sugarcane, Missy Higgins)

Avete perso? Avete detto addio? Avete amato, ne siete stati certi? Abbiamo paura. Ecco il crollo, l’ignoto, l’adrenalina.

“So run, run fast Sugar Cane.
yeah you’d better run, run fast Sugar Cane.
And she said, “always, be afraid”.
Yeah you should, “always, be afraid”.

Combatti o fuggi?

Posted on 12 novembre '11 by , under Frammenti. No Comments.

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